sabato 9 gennaio 2010

Patrizia Tocci racconta L’Aquila, la città che voleva volare

Nella personale esperienza di lettore, raramente ho incontrato un piccolo libro di prose che riuscisse ad esprimere ciò che solo la poesia sa donare. Patrizia Tocci nel suo “La città che voleva volare”, edizioni Tabula fati 2009, raggiunge questo risultato con una lunga riflessione sul territorio aquilano, costituita da immagini, colori, profumi e suoni. Le tre sezioni in cui il libro è suddiviso, Intra moenia – Extra moenia – Dopo, prendono per mano il lettore e lo accompagnano in un variegato viaggio che attraversa L’Aquila e dintorni prima e dopo il sisma. Le pagine si aprono in successione e invitano a guardare con i propri occhi, a riflettere con le proprie sensazioni, a diversificare le realtà descritte secondo le personali esperienze, a soffermarsi su particolari che aprono nuovi orizzonti.
Così da Piazza San Pietro, luogo simbolo dell’autrice, quando nel solstizio di giugno “crescono i raggi, arrivano lunghi da occidente, risalgono completamente via Romana, come un fiume di luce, toccano gli spigoli più alti della chiesa, sfiorano il rosone” si arriva alle campane che ormai non suonano più, perchè un inverno metaforico quest’anno “è arrivato davvero troppo presto”. Oppure l’invito a passeggiate solitarie lungo le strade del centro, dove “tutte le pietre, persino i selciati riflettono l’ultimo granello di luce”, fa riaffiorare immagini e ricordi che ogni lettore racchiude nel proprio scrigno esperienziale. Il percorso diacronico della Tocci, che ama profondamente la sua città, conduce in luoghi diversi, si sofferma su piazze e vie, chiese e negozi, persone ed animali, è un andare avanti per poi fermarsi, sincronizzare il pensiero all’attimo che poi fuggirà senza un probabile ritorno “i campanili delle chiese punteggiano e delineano il profilo della città. Svettano… individuano il quartiere e la chiesa corrispondente. Svettavano”.
Ma la memoria rimane, porta indietro il ricordo, passato e presente interagiscono in un “tempo bloccato, sospeso, irriconoscibile”. Anche la natura, osservata nell’esplosione di profumi, suoni e colori “Il profumo dei narcisi in mezzo all’acqua, quella che si scioglieva ma era stata neve… Rumore fresco di acqua intangibile che suona dappertutto… e poi il bianco fresco, accecante di una distesa di narcisi” offre l’occasione alla Tocci di fermarsi, pensare, ritrovarsi, ma anche di aprire un libro bianco per ognuno di noi. Non mi soffermo sulle pagine più sofferte, quelle del dopo, perchè sarebbe focalizzare la lettura ad una realtà sincronica fortemente tragica ed emozionale che ci coinvolge tutti e che restringerebbe troppo il libro nell’angolo della letteratura nata dal terremoto.
Il libro percorre il tempo di ieri e di oggi, del passato e del presente, è nato in un lungo periodo di scrittura che attraversa la vita dell’autrice e così si offre al lettore. Toccherà ad ognuno ripercorrere i propri ricordi ed il proprio presente e rivelare a se stessi le proprie emozioni. La Tocci ci aiuta in questo percorso.

di GIANFRANCO GIUSTIZIERI

http://www.abruzzocultura.it/abruzzo/009620_patrizia-tocci-racconta-laquila-la-citta-che-voleva-volare/

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